TARANTO, Conclusioni di Giuseppe Farina – Segretario confederale nazionale CISL

Sintesi) – “Siamo in tempi di cambiamento. Continuare a fare le stesse cose allo stesso modo e aspettarsi dei risultati, è una follia” (cit). La Cisl c’è. Negli ultimi due mesi abbiamo fatto decine di manifestazioni (metalmeccanici, pubblico impiego, pensionati, edili, le 100 piazze, manifestazioni di Firenze, Napoli, Milano). Siamo stati capaci di parlare con i nostri associati e loro ci hanno capito. Noi non facciamo le mobilitazioni per far cadere il Governo ma per cambiare la manovra economica del Governo. Insomma, il nostro è un percorso solo sindacale.


Se anche ci fossero ragioni sindacali forti per lo sciopero, il contesto attuale non è adatto a realizzarlo a meno che non si affrontino temi specifici, come ha fatto il pubblico impiego ieri 1 dicembre. Quello della Cgil ha forti contenuti politici e questo la differenzia dalla Cisl.
Quando la Cgil ha deciso di fare il sindacato, insieme con noi ha sottoscritto l’accordo sulla rappresentanza; adesso si trova d’accordo con Landini per fare opposizione al Governo.
Il Jobs Act non è lo strumento per creare lavoro ma come non riconoscere che esso contiene risposte per i giovani (estensione degli ammortizzatori sociali, decontribuzione, abbassamento Irap) che sono gli ultimi del mondo del lavoro e che grazie alla riduzione fiscale pari al 30% avranno opportunità di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescente.
La Cisl ha sempre chiesto (a Monti, a Letta) di ridurre le tasse sul lavoro per quanto il lavoro si crei con politiche specifiche di indirizzo che possano favorire la ripresa e l’occupazione.
Un sindacato serio fa il sindacato e non fa politica. La Cgil è in crisi di identità. I suoi 110 anni di storia sono stati messi in discussione dal rapporto non più organico con la politica, in quanto Renzi non intende esserlo. La Cisl ha il problema di un Governo che ha scelto di essere diverso, sbagliato, adottando un profilo antisindacale. Che si nega all’interlocuzione. Ma non esiste che in una situazione di crisi così grave ci possa essere un uomo solo al comando; infatti Renzi oggi sta pagando tale scelta.
Ma con il persistere della crisi comincia a venir meno anche la sua arroganza.
Le manovre in atto da parte del Governo non saranno, dunque, in grado di creare lavoro; la finanziaria non dà discontinuità alla crisi perché mancano politiche che favoriscano gli investimenti per lo sviluppo e soprattutto ci sono ancora sono 13 miliardi che, in alcune regioni del Sud, andavano spesi ma non si sarà capaci di spendere. Dunque, occorrono investimenti pubblici in particolare nel Mezzogiorno, che non è tutto uguale ma che diventa sempre meno meta di investitori privati.
Altrove, nel mondo, ci sono livelli di crescita eccezionali e la povertà in assoluto sta diminuendo. Il modello europeo è in crisi ed è a rischio il welfare che ci siamo conquistati nel tempo.
Occorre allora dare valore a tutte le potenzialità che possediamo, spingendo ognuno a fare la propria parte con grande senso di responsabilità.
L’intervento pubblico sull’ILVA è auspicabile e necessario ma questa non è una bella notizia né è una scelta che da sola assicurerebbe una prospettiva solida per lo stabilimento tarantino. È solo la conferma che la situazione dello stabilimento è difficile e non ci sono soggetti industriali privati disponibili ad un intervento per il suo rilancio. I grandi assenti sono gli imprenditori siderurgici italiani: non si può continuare, da parte loro a dichiarare strategico il settore siderurgico per il nostro Paese e poi defilarsi dai loro impegni e dalle loro responsabilità.
Sull’ILVA, no quindi al ritorno al passato ed alla negativa esperienza Italsider, si invece ad un intervento transitorio del Governo ed alla presenza di soggetti industriali nazionali ed esteri in grado di gestire il rilancio dei volumi di produzione, il risanamento ambientale e l’integrità industriale ed occupazionale dello stabilimento.
C’è una parte dell’economia illuminata, specie multinazionale, che pensa di coinvolgere il sindacato solo quando ci sono i problemi. E’ una versione nuova del capitalismo cui rispondere con un sindacato forte ma soprattutto unito.
Sulla questione crisi il Governo deve fare molto di più. Affrontare i nodi della competizione industriale (ambiente, energia, sistema del credito …) significa farlo in modo complessivo e non azienda per azienda.
Il sindacato, invece, deve riposizionarsi nel ‘mercato’ della rappresentanza che si è molto complicato. La Cisl sta investendo sul modello confederale, completando il percorso degli accorpamenti categoriali e valorizzando un forte raccordo con il territorio.


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