BRINDISI.Mancata ottemperanza al reintegro del lavoratore: la Corte di Appello di Lecce condanna la Revisud a risarcire il danno professionale.

Una importante sentenza della Corte d’ Appello di Lecce, Sezione Lavoro, a favore di un lavoratore della Revisud di Brindisi, sostenuto e assistito dall’Avvocato Giacomo Greco del Foro di Brindisi, è destinata a scrivere una nuova pagina della giurisprudenza del lavoro in Italia.

La sentenza, emanata qualche giorno fa, infatti riconosce al lavoratore della ditta Revisud il danno professionale dovuto al tempo trascorso alla mancata ottemperanza all’ obbligo di reintegrazione al lavoro ordinata dai Giudici del Lavoro del Tribunale di Brindisi, sia da parte del Giudice monocratico del primo grado per la decisione nella fase a cognizione piena, sia nella precedente fase a cognizione sommaria. La sentenza dà forza al valore costituzionale del diritto al lavoro pesantemente attaccato nel corso di questi anni, anche attraverso leggi che si sono dimostrate estremamente limitate nella difesa di questo diritto. Proprio in virtù della Costituzione il Tribunale di Lecce ha voluto rafforzare il diritto alla tutela dei lavoratori illegittimamente licenziati ostacolati in ogni modo dal datore di lavoro al loro rientro. Non è solo questione economica quella riconosciuta al lavoratore ma che è la violazione del diritto al lavoro unitamente al significato affidatogli dalla Costituzione che è quello della dignità personale, di un inserimento nella società, di un sostegno dignitoso alla propria famiglia. Il lavoratore era stato licenziato nell’ ottobre del 2016 attraverso una procedura di licenziamento collettivo a dir poco “farlocca”, avallata dai segretari delle Organizzazioni Sindacali di FIM, FIOM, UILM, e UGLM che all’ epoca dei fatti si sono resi disponibili ad assecondare i voleri della nota azienda metalmeccanica brindisina a “disfarsi” ingiustificatamente di 7 lavoratori. Da allora uno di questi lavoratori ha risolto la propria posizione con la mobilità perché prossimo alla pensione, tre sono stati reintegrati senza passare di fatto per le vie legali mentre gli altri tre, avendo impugnato il licenziamento per vie legali perché ritenevano forzati i criteri e le modalità per i quali erano stati licenziati,  hanno avuto ragione dal Tribunale di Brindisi che ha disposto in breve tempo la reintegra annullando il licenziamento per i palesi vizi di sostanza della procedura di licenziamento collettivo “sfuggiti” ai poco attenti segretari sindacali al momento della firma dell’accordo sindacale, addirittura sottoscritto presso gli uffici dell’allora Servizio per le Politiche Attive del Lavoro della Provincia di Brindisi nel tentativo maldestro di blindare la stessa procedura di licenziamento. Il Sindacato Cobas ha sostenuto i lavoratori contribuendo a portarli a vincere in Tribunale e ad ottenere sentenza di reintegro. I Giudici del Lavoro della Corte di Appello di Lecce, nel richiamare gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione per casi di specie, nella sentenza hanno evidenziato che il danno da inottemperanza dell’obbligo di reintegrazione al lavoro costituisce un danno ulteriore rispetto a quello derivante dal licenziamento illegittimo e quando è sussistente è suscettibile di autonomo risarcimento. La Corte di Cassazione ha definito che laddove vi sia un ordine giudiziale disatteso, l’omessa reintegrazione rappresenta la massima forma di demansionamento, che può essere valutata unitamente ad altri elementi. In un passaggio significativo della sentenza della Corte d’ Appello di Lecce si legge che: “il termine “reintegrazione” afferisce al concetto giuridico di “restitutio in integrum”: vuol dire riportare nella condizione di pienezza del diritto leso, comprensiva di tutti i profili, economici e non economici.  L’integralità della posizione da ripristinare è rafforzata dall’utilizzo della espressione “reintegrazione nel posto di lavoro”, che esclude ogni dubbio sul fatto che la ricostituzione debba riguardare tutta la posizione del lavoratore e non solo i profili retributivi. La regola per cui il lavoratore ha diritto, in corretta esecuzione del contratto di lavoro, non solo a percepire la retribuzione, ma anche a lavorare, si fonda sui principi costituzionali e trova riscontro nella giurisprudenza che ravvisa profili di illegittimità in quei comportamenti datoriali in cui, senza giustificazione, al lavoratore venga pagata la retribuzione, senza tuttavia che sia consentito l’espletamento della prestazione. Ciò in quanto il lavoro non è solo uno strumento di sostentamento economico, ma è anche strumento di accrescimento della professionalità e di affermazione della propria identità a livello individuale e nel contesto sociale”.  A dire la verità non davamo per scontato il riconoscimento del danno professionale in favore del lavoratore in quanto, molto spesso, è assai complesso definire il perimetro entro il quale il danno può essere riconosciuto. Invece siamo stati piacevolmente sorpresi da questa sentenza che definiremmo esemplare nei contenuti visto il richiamo autorevole dei Giudici del Lavoro della Corte di Appello di Lecce ai principi della Costituzione della Repubblica Italiana che non lascia spazio a nessuna altra interpretazione. Purtroppo di casi come questi in Italia ce ne sono parecchi ovvero di lavoratori licenziati illegittimamente, reintegrati dai Tribunali del Lavoro con sentenze chiare e nette, ai quali le aziende, piuttosto che reintegrarli di fatto e riconoscere i propri errori e i propri limiti, continuano a pagare gli stipendi, emettere regolari buste paga e a versare i contributi previdenziali a favore dei lavoratori. Nel caso della Revisud, tenendo conto che il reintegro ordinato dal Giudice del Lavoro ha effetto immediato dal giorno in cui il lavoratore ha subito il licenziamento, essendo passati già oltre 4 anni dal licenziamento dei tre lavoratori, possiamo dedurre facilmente quanto sia potuta costare in termini economici questa operazione all’ azienda dal momento in cui che ai tre lavoratori, che da ottobre del 2016 stanno a casa, versa lo stipendio lordo riferito all’ ultima retribuzione, emette regolare busta paga, gli versa regolari contributi previdenziali e paga le conseguenti spese legali per soccombenza in ogni giudizio oltre che per le spese legali per le ingiunzioni di pagamento a cui i lavoratori ricorrono molto spesso per il recupero di loro legittimi crediti.  Auspichiamo che nel futuro questa sentenza possa diventare un precedente importante per gli altri due lavoratori della Revisud reintegrati (ma non di fatto) affinché anch’essi possano trovare giustizia per il riconoscimento del danno professionale. Speriamo che le aziende, prima di fare allegri pensieri ad operazioni di questo tipo, ci pensino due volte per evitare di esporsi inutilmente a conteziosi che le vedrebbero perdenti nelle aule dei Tribunali del Lavoro, al netto delle conseguenze economiche che ne potrebbero derivare. 

 

per il Sindacato Cobas 

Roberto Aprile 


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