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BRINDISI.“VERDI IN CITTÀ”: IN PIAZZA DUOMO IL MITO DI ICARO

Ha per titolo “Icaro caduto” ed è il primo appuntamento della rassegna di musica e teatro “Verdi in Città”, in programma venerdì 12 luglio alle ore 21 in piazza Duomo a Brindisi, di fronte al museo archeologico Francesco Ribezzo”. L’ingresso è libero. Il programma di spettacoli, organizzato dal Teatro Pubblico Pugliese e dal Comune di Brindisi con la Fondazione Nuovo Teatro Verdi, vede il sostegno e la partecipazione di Enel in qualità di sponsor ufficiale. A margine dello spettacolo, il pubblico sarà invitato nel chiostro del museo a una degustazione di vini e prodotti tipici offerta dalle cantine “Otri del Salento”, “40are” e “Cantine Pandora”.

La storia è leggendaIcaro precipita in mare dopo essere fuggito con suo padre Dedalo dal labirinto, a Creta. Le ali artificiali costruite dal padre, tenute con la cera, si sfaldano non appena il giovane si avvicina al sole del primo mattino. Il padre disperato, dopo averlo cercato a lungo, si rifugia in Sicilia e tutti, proprio tutti, parleranno del giovane Icaro alludendo alla morale della favola: non ci si avvicina così incautamente al sole, non bisogna volare alto, non si deve sfidare la parola del padre. Il testo, scritto e interpretato da Gaetano Colella, racconta tutto quello che segue la rovinosa caduta di Icaro: il ragazzino, dopo lo schianto, non muore. Precipitato nel mare profondo ritorna a galla privo di sensi. Un pescatore lo raccoglie e lo porta a casa sua, da sua moglie. Insieme si prendono cura di lui, del piccolo ‘angelo’ precipitato dal cielo, con il corpo malandato e l’anima a pezzi.

Qui cresce Icaro, redivivo, in una famiglia pugliese che lo osserva, lo cura, lo accudisce. Intorno a lui si anima un villaggio di gente curiosa di vedere da vicino com’è fatto un angelo del cielo. Alcuni gli fanno visita per chiedere una grazia, altri per pura curiosità, altri ancora fanno la fila alla porta per osservare da vicino la sua deformità. E quando finalmente il giovanotto riapre gli occhi e parla, nel giubilo generale, nessuno si accorge della rabbia che cova in petto. Il suo corpo deforme porta i segni dello schianto, la sua memoria è ancora fresca, nonostante siano passati alcuni anni. Che fine ha fatto sua madre, che ogni giorno si recava alle porte del labirinto per gridare il suo nome e pregava Minosse che gli restituisse il figlio? E soprattutto dov’è adesso suo padre, il geniale Dedalo che ha sempre avuto attenzioni per tutti tranne che per lui, che da sempre ha preferito dedicarsi alle sue invenzioni invece che a suo figlio? Icaro non ha dubbi: non appena riuscirà a camminare raggiungerà la Sicilia e troverà suo padre.

Un testo che mescola diversi linguaggi: un dialetto italianizzato e una lingua pulita, in endecasillabi a rima alternata, che richiama il mito senza tradirlo. Paolo Baroni, in scena, installa una bitta, simbolo di partenza e di arrivo, per questo monologo diretto da Enrico Messina, che dal mare trae il suo inizio e la sua conclusione. Furente, Icaro racconta come il suo avvicinamento al sole sia un sabotaggio dell’invenzione di Dedalo, un uomo più interessato a dimostrare le sue teorie che al benessere del figlio. Nel mito originale, Dedalo vive una sfida costante verso ciò che sembra irrealizzabile. Pertanto, l’orgoglio non è del giovane Icaro, ma del padre, che ha trascurato il figlio in nome delle sue aspirazioni. La caduta procura a Icaro fratture che trasformano per sempre il suo corpo, come metafora di quanto il distacco dai nostri genitori possa essere doloroso, e di quanto alcune ferite possano non guarire mai lasciandoci segnati nell’anima. Icaro non incarna la ribellione giovanile; al contrario, è il figlio che si fa emblema degli errori del padre.

 

 

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