Interviene la Suprema Corte di Cassazione con la sent. 26286/2019
Per clausola di salvaguardia si intende quella mediante la quale le parti convengono che, qualunque sia la fluttuazione (l’oscillazione) del tasso di interesse pattuito, non potrà mai superare il c.d. “tasso soglia”, che ne costituisce quindi il tetto massimo.
La funzione della clausola è quella di garantire che non venga mai oltrepassato il limite stabilito dalla legge in materia di usura.
Fino al 17/10/2019, data in cui veniva emessa la sent. n. 26286 della Corte di Cassazione, l’orientamento giurisprudenziale prevalente riteneva detta clausola nulla ex art. 1344 c.c, perché tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari. Ciò fedelmente a quanto statuito dalla stessa Suprema Corte con sent. 12965/2016 dove spiegava che: “la clausola contenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, che preveda l’applicazione di un determinato tasso sugli interessi dovuti dal cliente e con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con sua automatica riduzione in caso di superamento del cd. tasso soglia usurario, ma solo mediante l’astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, è nulla ex art. 1344 c.c., perchè tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari, previsto dall’art. 1815 c.c., comma 2, per il mutuo, regola applicabile per tutti i contratti che prevedono la messa a disposizione di denaro dietro una remunerazione”.
La già enunciata sentenza n. 26286 del 17/10/2019 compie un cambiamento di rotta e non ritiene che detta clausola sia in re ipsa nulla per contrarietà a norme imperative anzi sottolinea che essa “è volta ad assicurare l’effettiva applicazione del precetto d’ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari” e che “non ha carattere elusivo, poiché il principio d’ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto”.
Tuttavia con tale ultima statuizione la Corte non vuole affermare che la presenza della “clausola di salvaguardia” sia di per sé idonea a escludere automaticamente il superamento del tasso-soglia anzi ritiene che, seppur tale clausola sia valida, la Banca dovrà dimostrare di non aver effettivamente applicato tale clausola applicando degli interessi sotto- soglia.
Ammonisce, infatti, la posizione del Tribunale che ha ritenuto sufficiente l’inserimento di tale clausola nel contratto per escludere l’usurarietà degli interessi percepiti dalla Banca.
Dunque, gli Ermellini enunciano il seguente principio di diritto: “in tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola “di salvaguardia”, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. “tasso soglia” antiusura previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto“.
In altre parole la Corte “contrattualizza” il divieto posto dalla legge e ne fa discendere delle conseguenze sul piano del riparto dell’onere probatorio definendo inadempimento contrattuale il mancato rispetto di tale previsione.
Infatti proprio in forza della previsione della “clausola di salvaguardia”, la banca, in caso di contestazioni, sarà obbligata a fornire la prova di non aver applicato, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore rispetto a quella massima consentita per legge.
Compresa la posizione assunta dalla Corte con questa pronuncia, preme sottolineare che la chiave interpretativa fornita dalla stessa può trovare riscontro con riguardo solo in presenza di interesse “variabile o modificabile unilateralmente dalla Banca” entro soglia perché solo in questa ipotesi la clausola “giova a garantire” che eventi sopravvenuti non possano condurre al pagamento di interessi usurari.
Mentre in presenza di un tasso di interesse fisso ovvero di un tasso variabile già contrattualmente superiore al tasso soglia non può ritenersi che la clausola di salvaguardia sia “volta ad assicurare l’effettiva applicazione del precetto d’ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari” perché l’interesse usurario è stato già pattuito.
In tutti questi casi la clausola non riuscirà a porre “le banche al riparo dall’applicazione della “sanzione” prevista dall’art. 1815 c.c., comma 2, per il caso di pattuizione di interessi usurari ” e dovrà essere ritenuta nulla.
Ne consegue che, nel caso di usura “contrattuale”, nota al momento della stipula del contratto, non pare possa operare la clausola di salvaguardia.
E non potrebbe essere altrimenti giacché l’intermediario quando stipula il contratto è già a conoscenza del TEGM e, quindi, del tasso soglia. Pertanto, quanto il tasso usurario è previsto nel contratto è esclusa la funzione di protezione ( cioè che non oltrepassi mai il limite stabilito dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4).
Opinando in senso contrario l’unico effetto che si raggiungerebbe sarebbe quello di rendere inoperativa la disposizione di cui all’art. 1815, comma 2., con la conseguenza che la banca sarebbe legittimata ad applicare ab origine interessi usurari impedendo al cliente, in presenza della clausola di salvaguardia, di avvalersi dell’art. 1815, comma 2 nell’ipotesi in cui si accorgesse dell’illiceità dei tassi applicati.
D’altra parte, decisiva appare la considerazione, al fine di escludere la validità della clausola al momento della pattuizione, che la previsione di un tasso superiore al tasso soglia costituisce un reato la cui fattispecie si concretizza già al momento della “promessa” (Cass. Penale 8/09/2011 n. 33331; Cass. pen. Sez. feriale, Sent., 26-08-2010, n. 32362;Cass. pen. Sez. II Sent., 21/11/2014, n. 50397 )) e non ha senso né logico né giuridico che il reato possa essere “estinto” da una clausola contrattuale in frode alla legge.
Né consegue che la statuizione della Cassazione del 17/10/2019 dovrà essere correttamente interpretata onde evitare di giungere ad un’effettiva e concreta elusione del divieto di pattuire interessi usurari attraverso una semplice apposizione nel contratto di una clausola di stile.
(avv. Vincenzo Vitale)