Quando si parla della chiusura della più grande centrale elettrica d’Italia, il Governo nazionale non può e non deve essere un semplice spettatore. Questo è uno degli aspetti che ho inteso porre con decisione nel corso dell’incontro svoltosi ieri presso il Ministerto del made in Italy. Del resto, in altre aree di crisi del paese, l’impegno dei dicasteri interessati è stato di ben altro tenore, a cominciare dalle risorse messe a disposizione per generare nuovi investimenti e nuova occupazione.
Probabilmente a Roma non erano ben chiari i termini della crisi che investe il territorio brindisino ed è questo il motivo per cui ho fornito alcuni dati da cui emerge con chiarezza che siamo davvero vicini al collasso. Basti pensare che a causa della chiusura della centrale di Cerano, della dismissione del P9T da parte di Basell e dell’eventuale chiusura dello stabilimento EuroApi (con i relativi indotti),  1.763 addetti potrebbero perdere il loro posto di lavoro.
Una cifra enorme per una città come Brindisi, la cui economia rischia di deflagrare attraverso un pericolosissimo effetto-domino che inevitabilmente andrebbe a coinvolgere anche il terziario e tutti gli altri settori produttivi.
E’ evidente, però, che ieri il punto di partenza non poteva non essere collegato all’Enel ed è per questo che ho ribadito di ritenere che la società elettrica non abbia predisposto alcuna ipotesi reale per Brindisi, né tantomeno per le imprese dell’indotto che sono state al suo fianco per decenni.
Tutto questo, a parere della CNA, è inaccettabile per una società partecipata dallo Stato come l’Enel che se ne va da un territorio dopo 50 anni senza nemmeno avvertire la necessità di dire “scusate, ho finito di trarre profitti e me ne vado”.
Anzi, è accaduto di peggio, visto che negli ultimi 5/6 anni l’Enel ha raccontato che non avrebbe lasciato a terra nessuno. Ci ha parlato di una centrale a gas ed è scesa addirittura nel dettaglio dell’impiego di imprese e lavoratori dell’indotto anche nella fase di costruzione. E poi ci ha parlato della possibilità di realizzare un dissalatore, così come di un impianto per la produzione di idrogeno green. Ed ancora, di uno stabilimento per la produzione di componenti per pannelli fotovoltaici, della installazione di batterie e di campi fotovoltaici. Ci è stato detto anche che avrebbe agevolato l’insediamento di una azienda per la costruzione di pale eoliche innovative e, dulcis in fundo, della creazione di una grande base logistica, riutilizzando le ciclopiche infrastrutture esistenti, proprio a Brindisi nel cuore del Mediterraneo.
Di tutto questo purtroppo oggi non è rimasto proprio nulla. Ed è questo il motivo per cui ho chiesto al Governo nazionale di chiedere con la dovuta decisione all’Enel di assumersi le sue responsabilità nei confronti del territorio brindisino, mettendo in campo tutte le azioni necessarie per evitare un vero e proprio disastro sociale.
Per esempio, leggiamo spesso e da tempo di preoccupazioni legate alla tempistica di utilizzo dei fondi del PNRR e che questi devono essere finalizzati, il più possibile, allo sviluppo economico ed occupazionale.
A Brindisi, se il Governo realmente lo vuole, c’è una effettiva possibilità di utilizzo di questi fondi, proprio in questa direzione.
L’Enel, come già detto, ha presentato un progetto per la realizzazione di una centrale a gas per il quale è stata rilasciata la VIA, attualmente con procedimento sospeso su richiesta della stessa Enel, in quanto Terna – con un conteggio assai discutibile -, ha stabilito che non c’era la necessità di ulteriore produzione di energia riveniente da una nuova centrale a gas e lo ha fatto basandosi essenzialmente su tre requisiti: sulla quantità di FER esistenti, sulla quantità di FER in sviluppo, che all’epoca dei fatti risultavano 86 Giga (per la cronaca, ad oggi, un solo Giga è stato autorizzato) oltre che sul fabbisogno elettrico del Sud, stimato in decrescita e che invece è in crescita e continuerà a crescere, proprio per effetto della decarbonizzazione.
A questo punto è logico chiedere al governo: perché non si interviene su Terna per far si che riveda la sua posizione, per le ragioni illustrate, e dichiari la centrale di Brindisi un impianto strategico per la sicurezza energetica nazionale?
In questo modo si creerebbero le condizioni per attingere ai fondi del PNRR con un progetto immediatamente esecutivo che consentirebbe di tamponare la crisi occupazionale, ma sopratutto consoliderebbe nuovamente l’interesse di Enel su Brindisi e forse giustificherebbe anche ulteriori investimenti in altre direzioni.
Mi rendo conto che quand’anche dovesse riscontrare l’Ok del governo, come mi auguro, l’iter non sarebbe immediato e ci vorrebbe un po’ di tempo per attivarlo – e noi tempo a Brindisi non ne abbiamo più – Per questo, nelle more che si avvii l’iter o che si trovino altre soluzioni alternative, ho chiesto al Governo che almeno fino al tutto il 2026 alla centrale Enel di Brindisi sia riconosciuta l’essenzialità. Ciò consentirebbe a tutti di avere un po’ di tempo per programmare finalmente il processo di decarbonizzazione, senza che questo crei un vero e proprio dramma sociale, e peraltro garantirebbe una riserva energetica strategica al nostro paese, che continua ad essere sempre più dipendente dai paesi confinanti, anche in virtù di un contesto geo politico in continua evoluzione.

 

Franco Gentile – Presidente CNA Brindisi